Casa dello Spettatore costruisce e realizza occasioni per approfondire e discutere il ruolo del pubblico nella pratica viva della visione teatrale. In collaborazione con Teatro Kismet Opera / Teatri di Bari propone in collegamento con la stagione 2023/2024 tre seminari per costruire intorno a tre spettacoli – La ferocia, Le cinque rose di Jennifer e Madre – un progetto che in un’articolazione varia possa raccontare diversi approcci capaci di condurre ad una visione più consapevole. Una ricerca per sperimentare modi possibili in cui accompagnare lo sguardo, ma dentro esperienze diverse, per intraprendere un percorso con l’obiettivo di mobilitare conoscenze e interrogativi, in un processo che si nutre di incontri, scoperte e punti di vista.
Teatro Kismet Opera
Strada san Giorgio Martire 22/f
13-14 gennaio
LA FEROCIA
3-4 febbraio
LE CINQUE ROSE DI JENNIFER
9 – 10 MARZO
MADRE
La ferocia
CALENDARIO
13 gennaio ore 16.00-20.00
SEMINARIO
13 gennaio ore 21.00
SPETTACOLO
14 gennaio 10.00-13.00
SEMINARIO
LO SPETTACOLO
La ferocia
dal romanzo di Nicola Lagioia, ideazione VicoQuartoMazzini, regia Michele Altamura, Gabriele Paolocà, adattamento Linda Dalisi, con Roberto Alinghieri, Michele Altamura, Leonardo Capuano, Enrico Casale, Gaetano Colella, Francesca Mazza, Gabriele Paolocà, Andrea Volpetti, scenografie Daniele Spanò, disegno luci Giulia Pastore, musiche Pino Basile, costumi Lilian Indraccolo, aiuto regia Jonathan Lazzin, realizzazione scenografie Officina Scenotecnica Gli Scarti, direttore di scena Daniele Corsetti, progetto audio Niccolò Menegazzo, datore luci Marco Piazze, cura della produzione Francesca D’Ippolito, ufficio stampa Maddalena Peluso, foto Valerio Polici, grafica Leonardo Mazzi, consulenza artistica Gioia Salvatori
Vittorio Salvemini è venuto dal nulla e, come da copione, vuole tutto. Costruttore pugliese arrivato a Bari poco più che trentenne, dagli anni ‘70 in poi ha inanellato una serie di successi professionali che l’hanno portato a essere proprietario di cantieri edili su cui non tramonta mai il sole, da Bari a Phuket, passando per Parigi e Istanbul. Solo le contraddizioni di qualunque ascesa sfrenata riusciranno a mandare in frantumi le sue sicurezze. A queste è legata la morte della figlia Clara, trovata morta ai piedi di un autosilo.
La Ferocia, spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Nicola Lagioia (Giulio Einaudi Editore), vincitore nel 2015 del Premio Strega e del Premio Mondello, mette in scena il trionfo e la rovina dell’occidente. Lo fa raccontando la storia della famiglia Salvemini, una saga familiare in cui le colpe dei padri si specchiano nelle debolezze dei figli. Un bestiario che racconta della nostra incapacità di sopprimere l’istinto di prevaricazione e il nostro essere perennemente incatenati alle leggi della natura.
“Secondo alcuni la disciplina che meglio spiega il nuovo secolo è l’etologia. Metti una volpe affamata davanti a un branco di conigli e li vedrai correre. Corri in una piazza piena di colombi e li vedrai volare. Trova il colombo che non vola.”
La vicenda dei Salvemini ha il calore di una tragedia contemporanea, particolare e universale allo stesso tempo, e si nutre delle parole nate dalla penna di un grande romanziere, nato e cresciuto in un Sud da sempre attraversato da grandi narrazioni.
Note di regia
Nel pensare la regia dello spettacolo abbiamo scelto di mettere al centro, nella sua assordante assenza, il corpo di Clara, chiuso nello sguardo di tutti quelli che hanno creduto di poterlo possedere. Intorno, l’abissale e cruenta vanità del potere rappresentata dagli altri membri della famiglia e da tutti coloro che sono coinvolti nei loro affari. A fare da contraltare un figliastro tornato come un Oreste contemporaneo a gridare vendetta e un giornalista ossessionato da una frenetica fame di verità e da un amore sconfinato per la terra in cui è nato.
Con La Ferocia ci concediamo la possibilità di raccontare il Sud non come un’eccezione ma come la regola. E di conseguenza ci chiediamo: il Sud può essere una sineddoche? Può assurgere al ruolo di protagonista del dramma di un mondo fuor di squadra, dove il crollo economico dell’occidente e l’incomunicabilità tra sostenibilità ambientale e progresso siano soltanto alcuni dei sottotesti che ci rifiutiamo di interpretare? In fondo il Sud conosce bene questa parte, l’ha imparata a memoria molti secoli fa, ripetendola sottovoce, e ora è pronta a rivelarla a un’umanità che ha smesso di allungare i suoi tentacoli per avvinghiarsi attorno a narrazioni di sistemi economici, sociali e politici stantii, incapaci ormai di tradurre i cambiamenti del presente.
“Una musica entra nei paesi e raccoglie il dolore di ogni singolo per disperderlo di nuovo tra le rocce e gli uliveti, simile alle ceneri delle generazioni morte, in modo che su ognuno gravi la stessa pace. In questo è l’infelicità del Sud, il suo intoccato privilegio.”
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Le cinque rose di Jennifer
CALENDARIO
3 febbraio ore 16.00-20.00
SEMINARIO
3 febbraio ore 21.00
SPETTACOLO
4 febbraio ore 10.00 – 13.00
SEMINARIO
LO SPETTACOLO
Le cinque rose di Jennifer
di Annibale Ruccello, regia Gabriele Russo, con Daniele Russo e Sergio Del Prete, scene Lucia Imperato, costumi Chiara Aversano, disegno luci Salvatore Palladino, progetto sonoro Alessio Foglia
Jennifer è un travestito romantico che abita in un quartiere popolare della Napoli degli anni ‘80. Chiuso in casa per aspettare la telefonata di Franco, l’ingegnere di Genova di cui è innamorato, gli dedica continuamente Se perdo te di Patty Pravo alla radio che, intanto, trasmette frequenti aggiornamenti sul serial killer che in quelle ore uccide i travestiti del quartiere. Gabriele Russo affronta per la prima volta un testo di Ruccello – scegliendo il più simbolico, quello che nel 1980 impose il drammaturgo all’attenzione di pubblico e critica. Il regista ci preannuncia una messinscena dall’estetica potente, fedele al testo e, dunque, alle intenzioni dell’autore «ci atteniamo alle rigide regole e alle precise indicazioni che ci dà Ruccello stesso – racconta Russo – cercando di attraversare, analizzare, capire sera per sera, replica dopo replica un testo strutturalmente perfetto, che delinea un personaggio così pieno di vita che pare ribellarsi alla mano di una regia che vuole piegarlo alla propria personalissima visione. Non è un testo su cui sovrascrivere ma in cui scavare, per tirare fuori sottotesti, possibilità, suggestioni, dubbi». In scena, un inedito Daniele Russo, affiancato da Sergio Del Prete in un allestimento che restituirà tutta la malinconia del testo senza sacrificarne l’irresistibile umorismo.
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Madre
CALENDARIO
9 marzo ore 16.00-20.00
SEMINARIO
9 marzo ore 21.00
SPETTACOLO
10 marzo ore 10.00 – 13.00
SEMINARIO
LO SPETTACOLO
Madre
di e con Ermanna Montanari, Stefano Ricci, Daniele Roccato, poemetto scenico di Marco Martinelli, regia del suono Marco Olivieri, tecnico luci Luca Pagliano, direzione tecnica Enrico Isola, Fagio, realizzazione elementi di scena squadra tecnica Teatro delle Albe Alessandro Pippo Bonoli, Fabio Ceroni, Fagio, Enrico Isola, Danilo Maniscalco, Dennis Masotti, Luca Pagliano, capi vintage A.N.G.E.L.O., produzione e promozione Silvia Pagliano, organizzazione Francesca Venturi, disegno e veste grafica Stefano Ricci, produzione Teatro delle Albe | Ravenna Teatro, In collaborazione con Primavera dei Teatri
MADRE ci racconta di un figlio e una mamma contadina: lei è caduta dentro un pozzo. Per disattenzione? Per follia? Per scelta? Non si tratta di un dialogo: è un dittico, composto da due monologhi, lui che la sgrida e va a cercare gli strumenti, argani e moschetti, tubi di ferro e carrucole, la “tecnologia” per tirarla fuori; lei che in fondo, nel fondo di quel pozzo che pare infinito, confessa di non avere paura, di non sentirsi a disagio. Da quel paesaggio desolato si staglia l’allegoria di una Madre Terra sempre più avvelenata, l’incubo di una “tecnologia” che, anziché aiutare con discrezione l’umanità, si pone come arrogante e distruttrice, capace di devastare equilibri millenari. Nell’intarsio del testo, tra italiano e dialetto romagnolo, emergono due figure in bilico tra la realtà cruda dei nostri giorni e i simboli di un futuro minaccioso e indecifrabile: sembrano emblemi di una fiaba orientale.