La tana

La camera di Vincent ad Arles, 1888 – Vincent van Gogh

– A SCUOLA, PER STUDENTI –

Scegli un angolo della tua casa senza dirlo a nessuno.
Resta nel tuo angolo preferito per un po’ di tempo. 
Perché lo hai scelto? Cosa ti piace fare quando sei nel tuo angolo preferito? Hai dei ricordi di cose accadute in quell’angolo? Raccontalo in un breve testo.

Prova a farlo scoprire agli altri in questi modi:
– disegnando una mappa,
– descrivendolo in modo dettagliato senza mai nominarlo
– creando  un percorso con indicazioni precise ( da dove partire, dove girare, quanti passi…)

Le parti in grassetto indicano lo spunto per l’abbinamento con il testo teatrale proposto da Casa dello Spettatore

– DAL TEATRO, PER INSEGNANTI –

Dalla tana…

dalle riprese televisive RAI di Le voci di dentro  (Eduardo de Filippo, 1978)

ATTO II

[…]

Una grezza scala a pioli, costruita alla buona, porta su di un mezzanino, sul quale si troverà un vecchio sgangherato divano dorato che serve da letto a Zi’ Nicola. Il mezzanino è riparato da vecchi stracci e da una lamiera di zinco, che servi un tempo come reclame d’un prodotto farmaceutico. Il tutto seppellito dalla polvere e dalla fuliggine. La luce stenta a entrare dai vetri sporchi d’un finestrone in alto.

Pomeriggio. Zi’ Nicola, dall’interno del mezzanino, traffica per conto suo. Ogni tanto si affaccia e sputa. Seduto accanto a un piccolo tavolo, Carlo va elencando su di un foglio di quaderno gli oggetti e le cose che si trovano nella camera. Mentre «Capa d’Angelo», rigattiere di piazza Francese, nel dettarne il quantitativo, ne osserva il valore e la qualità.

CARLO – Le sedie sono quattrocentocinquanta, comprese quelle che avete contate nell’altra camera. (Zi’ Nicola sputa). Zi’ Nico’, nuie stammo ‘a sotto!
CAPA D’ANGELO – Sta vota m’aggio scanzato pe’ miracolo.
CARLO – Lo dovete compatire; è vecchio.
CAPA D’ANGELO – Ma l’ha capito che non deve sputare? Voi ce l’avete detto tre volte… Non risponde.
CARLO – Non può rispondere.
CAPA D’ANGELO – È muto?
CARLO – No. La storia è un po’ lunga. Non parla perché non vuol parlare. Ci ha rinunziato. Eh, sono tanti anni. Dice che parlare è inutile. Che siccome l’umanità è sorda, lui può essere muto. Allora, non volendo esprimere i suoi pensieri con la parola… perché poi, tra le altre cose, è pure analfabeta… sfoga i sentimenti dell’animo suo con le «granate», le «botte» e le girandole. Perciò a Napoli lo chiamano Sparavierze. Perché i suoi spari non sono spari: sono versi. È uno stravagante.
CAPA D’ANGELO – Parla sparando, e voi lo capite?
CARLO – Io no, mio fratello si. Mio fratello capisce tutto quello che dice. Io capisco poche cose. «Dammi un bicchier d’acqua»: due tracchi e un fuie-fuie. «Che ora so’?»: tre tracchi intramezzati da una botta col fischio. «Tengo appetito!»: una botta col fischio, un fuie-fuie e tre tracchi.
CAPA D’ANGELO – Vostro fratello invece capisce tutto?
CARLO – Comme no? Certe volte si fanno delle chiacchierate talmente lunghe che sembra la festa del Carmine.
CAPA D’ANGELO – Cos’ ‘e pazze!

 […]

(Eduardo de Filippo, Le voci di dentro, 1948)

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